Palazzo Bentivoglio apre eccezionalmente alcuni spazi che negli ultimi anni hanno accolto interventi site specific e presenta al pubblico 'Flatland', installazione di Alek O. (Buenos Aires, 1981) di recente commissione, che occuperà in maniera permanente l'accesso alle sale private della collezione. Il percorso prenderà avvio dall'ingresso di via del Borgo di San Pietro 1, dove seguendo 'La zampa di Pea Brain' (2004), neon di Cuoghi Corsello (Mantova, 1965; Bologna, 1964), i visitatori potranno accedere ai sotterranei cinquecenteschi, riconvertiti dallo Studio Iascone & Partners in uno spazio espositivo inaugurato nel 2019. Guidati dal team di mediazione di Palazzo Bentivoglio, i visitatori potranno scoprire 'Ipogea' (2020- 2021) di Chiara Camoni (Piacenza, 1974), intervento nato da un accumulo di materiale lapideo proveniente dal palazzo. Disponendo le pietre in stanze successive, Camoni ha dato forma a un luogo abitato da presenze naturali, organiche e femminili, che ha il suo culmine nell'antro della 'Serpentessa', il cui motivo è stato reimpiegato dall'artista nella personale all'Hangar Bicocca del 2024. Nell'ambiente che raccorda fra loro i momenti di 'Ipogea', con 'Memorie del sottosuolo' (2021) Francesco Carone (Siena, 1975) inserisce il volume di Dostoevskij al posto di un mattone del pilastro centrale, gesto che richiama simbolicamente la biblioteca ospitata al piano nobile. La visita prosegue nel cortile, dove nel dittico di proiezioni 'Così per dire (tornare partire)' (2023) di Riccardo Benassi (Cremona, 1982) la pulsazione delle parole “tornare” e “partire” viene interrotta dal rapido scorrere di due strofe poetiche, producendo un effetto ipnotico e straniante. A chiudere il percorso, un dossier sull'artista Alek O. include in una prima stanza – che accoglie opere di Marc Camille Chaimowicz (Parigi, 1947 - Londra, 2024), Wolfgang Tillmans (Remscheid, 1968) e Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) – 'Flatland' (2019-2025), concepita a partire da zerbini giunti a fine uso e assemblati fino a coprire interamente il pavimento. L’opera, che assume la forma di un grande intarsio, restituisce le tracce di migliaia di passaggi e trasforma la soglia in esperienza di accoglienza. Il titolo rimanda al racconto (1884) di Edwin A. Abbott ambientato in un universo bidimensionale, e invita a osservare la superficie di zerbini come un piano liminare tra interno ed esterno, riflettendo sul valore simbolico dell’attraversamento. Vi trovano posto anche le sculture luminose della serie 'Ehi, Siri, Lumos' (2023), plafoniere riconfigurate come piccoli corpi volanti che atterrano nello spazio, riformulando la luce come un segnale domestico e insieme eccentrico. A conferma della nozione personale e 'calda' di ready-made nella pratica di Alek O., una seconda stanza accoglie opere della serie 'Il giorno della fine non ti servirà l’inglese' (2023), cassetti che custodiscono forme di zucchero, fragili e temporanee, presentati accanto a un autoritratto inedito (2025).